Viterbo – Castel D’Asso

Viterbo – Castel D’Asso

Viterbo – Castel D’Asso

Viterbo – Castel D’Asso

Viterbo – Castel D’Asso – La Banda del racconto in sopralluogo

Viterbo – Castel D’Asso – La Banda del racconto in sopralluogo

Viterbo – Castel D’Asso – La Banda del racconto in sopralluogo – Pietro Benedetti

Viterbo – Castel D’Asso – La Banda del racconto in sopralluogo – Pietro Benedetti

Viterbo – Castel D’Asso – La Banda del racconto in sopralluogo – Antonello Ricci

Viterbo – Castel D’Asso – La Banda del racconto in sopralluogo – Antonello Ricci

Viterbo – Castel D’Asso

Viterbo – Castel D’Asso

Viterbo – Castel D’Asso – La Banda del racconto in sopralluogo

Viterbo – Castel D’Asso – La Banda del racconto in sopralluogo

Viterbo – Castel D’Asso

Viterbo – Castel D’Asso

Viterbo – Castel D’Asso

Viterbo – Castel D’Asso

Viterbo – Ci sono cose per cui non serve essere laureati oppure aver frequentato master prestigiosi, in Italia o all’estero.

Cose che ci rendono parte comune, chiara agli occhi e a tutti comprensibile.

E anche chi non sa né leggere, né scrivere – e comunque dobbiamo fare in modo che non ve ne siano – sa tuttavia cosa sia “bellezza”, apprezzandola e facendola propria.

E tra le cose belle, che ognuno di noi saprebbe sicuramente riconoscere, c’è la necropoli etrusca di Castel d’Asso a Viterbo, cantata dalla Banda del racconto di Antonello Ricci sabato 6 giugno, tra le rovine al confine di una civiltà antica, muta come altre, ma a pochi passi da noi che, giorno dopo giorno, ci sussurra nelle orecchie un pezzo importante della nostra identità.

L’identità della Tuscia, parte integrante e fondamentale di quella della comunità del Lazio. Una comunità che va narrata – come fa la Banda del racconto – per raccogliere e riconsegnare la memoria, che fa di “macerie”, “rovine” capaci di mostrare le proprie radici, nelle sue specificità.

Narratori di comunità ed etruschi, in comune quella “sfrontatezza guerrigliera” che ha permesso ai secondi di resistere ai millenni e ai primi di restituirla, comprensibile in quella “grande meraviglia che – come scriverebbe ancora oggi George Dennis – desta la vista di questi luoghi solitari che sembrano veramente isolati dal resto del mondo”.

Luoghi dove giace una cultura per molti aspetti ancora misteriosa.

Ancora ostile a rivelarci i “suoi segreti”. Una “barriera intricatissima”, come i rami su quei monti carichi di boschi che tra Sutri e i Cimini fermarono i romani che poi li avrebbero conquistati e quasi cancellati. Come i rovi che poi si riprendono possesso delle sepolture.

Gli schiavi di Spartaco traditi sulle coste dell’Adriatico, espressione di un modo d’essere, volere e desiderare diversi. Rivendicare il diritto ad “essere umani” per gli schiavi, il diritto a governare e gestire le proprie risorse per gli Etruschi di fronte ai suoi conquistatori.

Una civiltà fiera che ha saputo fare delle sue tombe un monito perenne e delle danze e gesti così familiari affrescati sui muri funebri, le sue porte scolpite sulle pareti di tufo, una sfida al tempo e all’uso che noi stessi ne facciamo. Un tempo pubblico che con gli Etruschi è stato “migliore”, prima di qualsiasi altro, perché ha saputo e orgogliosamente voluto rivendicare la propria identità, la coscienza di un popolo che ha scelto orgogliosamente la libertà, e la dignità, di essere e di esistere.

Una consapevolezza di se stessi che ha marcato e dettato il confine. Una scelta in eredità al nostro secolo – e all’Anno degli Etruschi – chiamati a conservarla, tutelarla e difenderla. Il canto di Castel d’Asso che – a distanza di secoli, ancora bellissimo, tra campi di grano gialli e corsi d’acqua sconnessi – sa sempre di libertà e ribellione.

Riccardo Valentini
Vice capogruppo del Pd al Consiglio regionale del Lazio